FRAMMENTI


(Breve introduzione al post. Ho scelto questa frase lapidaria di Democrito, prescindendo

i principi della sua dialettica, e le successive adozioni che la storia della filosofia

ed anche la scienza ha adoperato (nei suoi confronti).

Volendo introdurre, con questo frammento, una serie di ragioni e principi, notevoli,

per ognuna delle argomentazioni trattate, che sono l’uno riconducibile all’altro, e che

ripropongo per una più ampia riflessione, affinché non cadano nel baratro del dimenticatoio,

dove la storia, e la verità, troppo spesso vengono confinate.

Pensando, così, di giustificare fini più importanti nel nome dell’economia, adottando in nome

suo mezzi e metodi impropri alla logica di ogni vivere sociale per conseguire dubbi obiettivi.

Nella breve durata che ogni intento economico e ingiustizia si vuol prefiggere, ma che troppo

spesso causa l’ignoranza dell’uomo, riescono nella tirrania della lunga efficacia sociale cui

siamo confinati. Intreccio in ragione di questo motivo un mandala dialettico di probabile

ed inoppugnabile verità storica ad uso della memoria. BUONA LETTURA)

Da  zapatecus-messico-1975-3.html

 

– E’ cosa buona ostacolare coloro che compiono ingiustizie; se non si riesce

nell’intento, è cosa buona non compiere ingiustizie con loro.

– E’ difficile sottostare al dominio di chi ci è inferiore.

(Democrito)

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SHAHANSHAHI

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fargard-xix.html

(Fu davvero un genocidio culturale e non solo quello che successe nel 330 a.C.

in Iran. La brutalità, che secoli dopo userà in Iran anche Tamerlano, sarà stata

nulla al confronto di questa apocalisse. La perdita di sicuri riferimenti linguistici,

la distruzione dei manoscritti avestici e le immani rovine per ogni dove in

Iran, si possono considerare il vero monumento al bieco egocentrismo di Alessandro

il Macedone. La campagna terroristica di Alessandro aveva raggiunto il

suo culmine quando il clero achemenide, che poteva essere di osservanza

zarthushtrica o no, gli aveva rifiutato il titolo di ‘re dei re’. Ci sono

pochi dubbi sul fatto che la furia devastatrice a Persepoli abbia avuto inizio

quando Alessandro ricevette tale rifiuto. Come testimonia il documento

storico che segue questa breve premessa, il saccheggio, poi l’indiscriminato

incendio, sono frutto e motivo dell’insensato per quanto irreparabile gesto.

La frattura. Con questa distruzione Alessandro si macchiò della indelebile

colpa di aver separato da allora l’Occidente dall’Oriente e di aver distrutto

una civiltà che si stava volgendo verso l’Europa, coinvolgendosi nella grande

cultura greca. Ma i motivi della guerra ed i suoi notevoli guadagni, prosperano

ancor oggi in questo triste primato ed inutile confronto fra due distinte

civiltà. Solo con le armi della cultura, e giammai con il bieco calcolo dell’

interesse economico – o politico – frutto della cultura bellica, si possono ottenere

i risultati voluti e sperati per l’uomo detto evoluto. Solo con la conoscenza

e il reciproco scambio culturale si possono sperare nei traguardi falliti per

secoli. Paradossalmente, infatti, le Storie occidentali esaltano Alessandro, ed

i suoi successivi fac-simili, come eroi della lotta Occidentale contro l’Oriente,

perché, per l’appunto, fu il grande condottiero che per primo tentò di

soggiogare l’Oriente (Iran e India). Soggiogare senza alcuno scambio di

civiltà. Ma un solo bieco egocentrismo spacciato…per eroismo.)

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…..Pure, queste grandi qualità di carattere, quell’indole che lo rese superiore

a tutti i re, quella decisione nell’affrontare i pericoli, la prontezza dell’

iniziativa e della esucuzione di un’impresa, la lealtà verso chi gli si era

arreso, la clemenza verso i prigionieri, la temperanza perfino nei piaceri

consentiti e abituali, Alessandro le macchiò con un desiderio del bere

non tollerabile. Mentre il suo nemico e rivale nel dominio del mondo si

dava tanto da fare per una ripresa della guerra, mentre i popoli da lui

battuti, sottomessi troppo di fresco, ancora riluttavano alla nuova

signoria, Alessandro celebrava in pieno giorno banchetti con la presenza

di donne, alle quali peraltro non era illecito attentare, trattandosi di

meritrici abituate a vivere in mezzo ai soldati con maggior licenza del

convivente. Una di queste, Taide, anch’essa in preda all’ebrezza, dichiara

che Alessandro si guadagnerà l’estrema gratitudine della Grecia intera

se darà l’ordine di bruciare la residenza regale dei Persiani: era questo

che si aspettavano i popoli dei quali i barbari avevano distrutto la città.

Mentre la cortigiana ubriaca esprimeva la sua deliberazione su una

cosa tanto importante, ecco che prima uno, poi un’altro, tutti saturi

di vino anche loro, danno il proprio assenso. La sfrenatezza del re

superò anch’essa ogni sua capacità di controllo:‘Perché allora non

vendicare la Grecia e non dare fuoco a Persepoli?’. Tutti erano scaldati

dal vino: ubriachi, urlano, gridano, poi saltano su per incendiare

quella città che in armi avevano risparmiato. Fu il re per primo ad

appiccare fuoco alla reggia, quindi i convitati, la servitù e le cortigiane.

Il palazzo era stato costruito con abbondanza di legno di cedro che,

afferrato rapidamente dalla fiamma, propagò un incendio di vasta

estensione. Quando l’esercito, che stava attendendo non lontano dalla

città, lo ebbe avvistato, si precipitò in soccorso ritenendolo accidentale.

Ma come giunsero al vestibolo della reggia, videro il re in persona andare

ancora ammassando tizzoni ardenti. Lasciata quindi l’acqua che avevano

portato, i soldati stessi si misero a gettare legname asciutto in mezzo

al fuoco. Questa fu la fine della capitale di tutto l’Oriente, a cui prima

tante popolazioni chiedevano leggi, patria di tanti monarchi, unico

terrore un tempo della Grecia, capace di allestire una flotta di mille navi

e tanti corpi d’armata da inondare l’Europa, dopo avere pavimentato di

tavole il mare e traforato montagne per incanalarvi le sue acque.

I Macedoni si vergognavano che una città così insigne fosse stata

distrutta da un re (e la sua ebbrezza alcolica) in un giorno di stravizi.

Così fabbricarono una versione seria dell’accaduto e si, e… costrinsero,

a credere che era stato assolutamente essenziale distruggerla in quella

maniera.

(Ma nella realtà dei fatti non fecero altro quello che i nazisti dopo la

loro sbronza alcolica di birra, ripeteranno, a danno della sola cultura,

secoli dopo….)

(Curzio Rufo)

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IL PROCESSO (due) (4)

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il-processo.html

Il processo a Saddam è un’utile occasione per una riflessione sui rapporti

tra democrazia e giustizia, un problema che risale alle origini del pensiero

filosifico-politico dell’Occidente, tanto da avere il primo precedente nel

processo a Socrate, anche se può apparire provocatorio un paragone tra

il capostipite della nostra filosofia e il tiranno di Baghdad.

La riflessione parte dagli scopi degli Stati Uniti, perché il processo si colloca

nella strategia che muove dall’11 settembre, il cui obiettivo è quello di

imporre governi amici che sostituiscono i governi ostili degli Stati canaglia.

Il processo a Saddam è un omaggio al governo amico presieduto da

Iyad Allawi, ex dirigente del partito Baath, di autorevole famiglia tribale,

già agente della CIA.

Dunque se nel 1919, dopo non aver mantenuto le promesse fatte agli arabi

dal colonnello Lawrence, dell’Intelligence Service, l’impero inglese aveva

trovato governi amici nella famiglia hascemita dell’Arabia dei clan, l’impero

americano trova gli amici in chi si è fatto arruolare, oltre che dalla CIA,

dalle compagnie petrolifere che sponsorizzano la famiglia Bush.

Il nostro grande meridionalista Guido Dorso diceva che la modalità di

nascita delle élite politiche è un mistero che la politologia fatica a risolvere.

Gli Stati Uniti sembrano risolverlo vedendo nei governi amici un sotto-

prodotto dell’industria petrolifera.

Ma perché tanta fretta nel processo Saddam, in omaggio ad Allawi (ex

dirigente CIA), mentre la guerriglia è ancora all’attacco e il processo

potrebbe essere uno spettacolo a doppio taglio?

Sigmund Ginzberg propone questa risposta:

‘Il fatto è che per la cultura della democrazia americana il processo pubblico

è una cosa sacra. E c’era il disperato e urgente bisogno di contrapporre le

immagini di un processo accettabile all’eco delle immagini di tutt’altro

tenore che erano venute da Abu-Ghraib’.

Dunque un prigioniero incatenato e ammanettato, ‘ma senza segni di

maltrattamenti o umiliazioni’. (Può risolvere in modo mediatico tanti

e troppi problemi economici e non solo…. a solo vantaggio di una

democrazia che adopera il processo a fini diversi se non addirittura

eversivi dal punto di vista storico-sociale – nota del curatore -)

(Giorgio Galli)

Prosegue in:

una-banca-malata.html

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IL PROCESSO (3)

(Breve premessa del curatore del blog. Il processo cui si fa riferimento,

non ha nulla a che vedere con la spazzatura mediatica propinata in

questi giorni dalla autorevole stampa circa i vizi e le virtù di uno ….

dei tanti e troppi politici italiani. Ma si tratta di una lucida analisi di

un autorevole politologo, nonché storico, circa un fenomeno della

storia, che ha coinvolto per secoli personaggi e uomini, con l’intento 

per l’appunto di sovvertire la storia stessa. Quindi il processo

cui si fa riferimento (in senso Kafkiano e metafisico) non deve essere

confuso con veline o quant’altro infesta la cultura…., ma ha per oggetto

un argomento ben più serio, che nel suo insieme ne raccoglie e

contiene molti altri,….la storia…)

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il-fatto-progetto-babilonia-2.html

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Il processo a Socrate è entrato nella nostra cultura come simbolo di un

processo ingiusto a un grande che lo accetta perché le leggi vanno comunque

rispettate. Ma il concetto che la saggezza induce a rispettare anche leggi

ingiuste si colloca in un momento di profonda crisi della democrazia della

‘polis’. 

Da Socrate sappiamo quello che scrisse Platone.

Il cui pensiero passa da una prima fase di democrazia utopica a una fase

finale di oligarchia auto-investitasi. 

Aristotele classifica la democrazia tra le possibili forme di governo, ma la

sua preferenza, che influenzerà tutto il pensiero politico occidentale dal

recupero medievale sino alla rivoluzione scientifica che porta, nel XVII

secolo, alla democrazia parlamentare inglese, è per un governo misto

diverso da quello basato sul consenso generale.

E per arrivare alla nostra democrazia rappresentativa occorrerà bruciare sui

roghi un considerevole numero di streghe, stregoni …ed eretici, in 

processi che non offrivano, per citare le parole di Venturini, ‘quelle

minime garanzie che la nostra cultura giuridica esige’.

Insomma: nella tradizione della democrazia occidentale abbiamo un 

problema del rapporto col processo come momento cruciale della

giustizia. (continua…)

(Giorgio Galli)

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FARGARD XIX

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fargard-xiii.html

Rispose a questo il piissimo Zarathustra.

– Il mortajo, la coppa con la parola di Mazda, queste sono

delle mie armi le migliori. Con esse parole vincerò, con queste

parole annienterò; scaccerò io con queste armi, ah (si) Anra

Mainyu sapiente nel male.

Le creò Cpenta Mainyo, le creò il tempo infinito, senza principio,

le crearono gli Amesha Spenta, i buoni imperatori, i saggi.

(Vendidad)

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DA MILANO A CHICAGO IN BICICLETTO (12)

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Milano, 7 luglio 1893

Signor Direttore

In seguito alla gara velocipedistica Torino-Milano, dove ebbi la fortuna

d’arrivare terzo, mi permetto di farle una profferta che non mi pare

disprezzabile. Come fu accenato nel Corriere stesso, tutti gli anni passo

le vacanze autunnali in viaggio a scopo principalmente d’istruzione, e

l’anno scorso andai in bicicletto a Parigi e Berlino: e ritornai a Milano

per Vienna. Quest’anno avevo ideato per le mie prossime vacanze la

gita in velocipede da Milano a Chicago e ritorno; ma c’è di mezzo il

mare. Ed ecco il gran problema (datemi un punto d’appoggio ed io

vi leverò il mondo) datemi un biglietto da L. 500 o prosciugatemi il

mare; ed io vi farò vedere l’utilità pratica del bicicletto con l’andata

e ritorno in due mesi circa da Milano alla grande Esposizione

mondiale di Chicago.

E’ molto facile la soluzione del mio problema, ma diventa impossibile

quanto il prosciugamento del mare senza un biglietto da L. 500.

La mia partenza è fissata per il 15 luglio, e l’itinerario sarebbe il seguente:

Milano – Domodossola – Vallata e ghiacciaio del Rodano – Interlaken –

Lucerna – Zurigo – Sciaffusa – Basilea – Strasburgo – Francoforte – Colonia –

Liegi – Bruxelles – Calais – Londra – Oxford – Liverpool – New York –

Niagara – Chicago – Washington – Filadelfia – New York – Havre – Parigi –

Dijon – Ginevra – Piccolo S. Bernardo – Valle d’Aosta – Milano, con fermata

di alcuni giorni in tutte le grandi città, e contando ritornare a Milano entro

il mese di settembre p.v.

Ma la mancanza di mezzi, pur troppo, mi costringerà forse a starmene di

qua dell’Atlantico.

Ora se il Corriere della Sera volesse favorirmi il suddetto biglietto da L. 500

che non è molto, io manderei ogni sabato una breve relazione descrittiva del

mio lungo viaggio, la quale potrebbe essere intitolata Da Milano a Chicago

in bicicletta, e comparendo nella cronaca-sport del lunedì non mancherebbe

certo d’interessare il pubblico.

S’ella crede di accettare l’ardita quanto attuale mia profferta, favorisca

rispondermi subito a Pavia, piazza Petrarca.

L. Masetti

Questa l’immediata risposta del direttore del Corriere della Sera:

Ci piacciono le imprese condite d’audacia e di bizzarria.

Accettiamo la proposta del sig. Masetti e teniamo a sua disposizione le 500

lire. Aspetteremo le letterine promesse.

Partenza

Dal Corriere della sera

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Ieri mattina, nella fretta degli ultimi preparativi, Luigi Masetti ci ha mandato

le seguenti note:

‘Oggi al mezzogiorno parto.

Quanto agli abiti porterò meco tre paia di calzoncini di tela russa da viaggio e

due paia di stoffa per mutarmi alle fermate; 6 fazzoletti, 4 maglie, 6 paia di calze,

2 davanti di camicia, 2 cravatte, 2 paia di scarpe, un cappello e un berretto.

Quanto al bagaglio tengo meco una valigia legata al supporto e una valigetta

legata al manubrio, contenenti lo stretto necessario per il viaggio; innanzi poi

per ferrovia spedisco alle grandi città una valigia contenente qualche libro e

indumenti da sostituire agli usati.

Per il cibo, secondo il mio metodo, mezzo litro di latte e un paio d’uova con

pane la mattina, colazione abbondante, alla carta, anzi al cartoccio, al mezzogiorno

all’ombra d’una pianta o in albergo di villaggio a cena in albergo di villaggio

dove resterò pure a pernottare. Unico metodo questo per conciliare l’economia

pratica con la tranquillità e la prontezza di servizio’.

(L. Rossi, L’anarchico delle due ruote)

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LA BICICLETTA (l’amante segreta) (11)

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Nel 1878 il Rénard, autore dei famosi bicicli alti m. 2,50 e perfino 3 metri,

che ricevevano il movimento mediante un sistema di leve a parallelogramma

– partendo dal concetto praticamente discutibile di accrescere la velocità

aumentando il diametro della ruota motrice – inventò i raggi tangenti, nello

intento di ovviare, colla nuova disposizione, alla torsione che il raggio diretto

subiva dal mozzo della ruota al cerchione, la qual torsione era tanto più

sensibile, quanto più grandi erano la ruota e la velocità.

Non è esclusivamente questa la ragione tecnica e pratica che oggi ha consigliato

la universale adozione dei raggi tangenti per le ruote da bicicletta, ma della

importantissima innovazione dobbiamo essere grati al geniale inventore,

che vide invece assai presto dimenticata la sua macchina gigantesca quanto

inutilmente pericolosa.

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D’altronde il biciclo, preso come tipo, anche se non spinto a esagerazioni

iperboriche, costituiva sempre un ordigno pesante, incomodo, poco maneggevole,

disadatto ai lunghi viaggi e pericoloso, per la facilità delle cadute, quasi

sempre gravi nelle loro conseguenze.

La forma intermedia, il tipo di transizione fra il biciclo e la bicicletta, è costituito

dai cosidetti bicicli di sicurezza. Ne sono campioni il bicycle sur del francese

Rousseau – che il Baudry de Saunier volle chiamare ‘l’apostolo del velocipedismo

pratico’ – e il Kangaroo-Safety, meno alti dei bicicli comuni avendo la ruota

anteriore assai rimpicciolita. In tali macchine la sella era stata collocata indietro,

ed il movimento dei pedali, trasmesso mediante due catene al mozzo della

ruota, era stato portato un poco più in basso e fissato a speciali prolungamenti

della forcella verticale.   

Il Kangaroo-Safety e il Sur, che pure aumentando i punti di attrito non eliminavano

tuttavia completamente gli inconvenienti lamentati nei bicicli di tipo comune,

passarono senza rimpianto, sostituiti, nel 1879, dalle prime biciclette, ancora

incerte e diverse nella forma, ma giunte finalmente a stabilire la massima

meravigliosa di un principio meccanico ancora oggi immutato. 

(Umberto Grioni, Il ciclista) 

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IL FATTO (progetto Babilonia) (2)

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progetto-babilonia-1.html

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Poco prima delle sei di sera del 17 agosto 1989 l’agenzia Ansa mandava i rete

una notizia di 24 righe intitolata: Banche: Bnl accerta operazioni non autorizzate

negli Usa.

Era il riassunto di un comunicato della Bnl dove si annunciava che una serie

di ‘operazioni non autorizzate’ erano state accertate nella filiale americana

di Atlanta, Stato della Georgia. ‘Si tratta’, spiegava il comunicato, ‘di operazioni

che riguardano il finanziamento di esportazioni dirette verso la Repubblica

irachena e che non erano state autorizzate dalla competente direzione Bnl

dell’area del Nordamerica’. 

Le redazioni dei giornali italiani erano insonnolite dal caldo estivo, Ferragosto

era appena passato, molti giornalisti erano in ferie e il comunicato non era 

certo concepito per attirare l’attenzione. Il testo, che il presidente della Bnl

Nerio Nesi aveva personalmente portato al governatore della Banca d’Italia

Carlo Azelio Ciampi per approvazione il giorno dopo Ferragosto, non 

forniva alcuna cifra per chiarire le dimensioni delle ‘irregolarità’.

Il giorno dopo molti giornali ignoravano del tutto la notizia, e quelli che ne

parlavano riferivano della cosa con scarsa evidenza nelle pagine economiche.

Il Corriere della sera, per esempio, si limitava a un articoletto di 40 righe

nascosto sotto l’oscuro titolo: La Bnl nel mirino della Fed. Malgrado la calura

estiva, però, la curiosità di alcuni capiredattori era stata stuzzicata: quali

irregolarità? Quanti soldi c’erano in ballo? Che provvedimenti erano stati

presi? Se si trattava di spiccioli perché fare un comunicato? Se invece il

problema era serio, perché il comunicato non diceva nulla di più? I 

telefoni cominciarono a squillare verso le 12 del mattino (più o meno

all’ora di pranzo) di venerdì 18 agosto tanto alla sede della Bnl di via

Vittorio Veneto, quanto a quella della Banca d’Italia in via Nazionale,

le fonti dei redattori economici erano però assenti, o mute.

A rilanciare la notizia fu Il Mondo.

Nel numero in edicola lunedì 28 agosto, in un articoletto senza firma

ma eccezionalmente ben informato, il settimanale economico rivelava

l’esistenza di una doppia contabilità nella filiale Bnl di Atlanta e faceva

capire tra le righe che le ‘irregolarità’ erano in realtà una catastrofe.

Il muro di silenzio era stato rotto da una fonte interna della Bnl che 

si era data la pena di chiamare il direttore Redento Mori, in vacanza

sulla Costa Smeralda, per spiegargli come stavano veramente le cose.

Mori si mise immediatamente alla macchina da scrivere e mandò il

pezzo a Milano.

Il Mondo non ha mai avuto tirature straordinarie ma viene ritenuto affidabile:

i quotidiani capirono immediatamente che la storia doveva essere vera.

Il giorno dopo, martedì 29 agosto, su tutti i giornali l’affare Atlanta esplodeva

e su la Repubblica Arturo Zampaglione dava la cifra di 2 miliardi di

dollari, circa 2400 miliardi di lire.

‘Non è che la Bnl abbia perso tutti questi soldi’, scriveva Zampaglione, ‘si

tratta infatti di crediti garantiti dalle autorità irachene. L’istituto di Nesi,

però, si è trovato esposto, quasi senza accorgesene, per cifre consistenti

nei confronti di un paese che non ha fama di essere un pagatore puntuale’.

Il tono era ancora rassicurante ma ormai il bubbone era scoppiato. 

(Fabrizio Tonello, Progetto Babilonia)

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CONVERSAZIONE AL LUME DI CANDELA (Eremiti nella taiga) (4)

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l-incontro-eremiti-nella-taiga-3.html

 

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Quel giorno aiutammo i Lykov a costruire una capanna nuova nell’orto

‘di riserva’ – trasportammo le travi maestre da tagliare, i pezzi per il

soffitto e le travi per il tetto. Karp Osipovic andava di qua e di là

in veste di capomastro affacendato.

Preparati a morire, ma semina la segale, disse più volte, come a prevenire

la domanda: a che pro una costruzione del genere nel nono decennio di

vita?

Dopo pranzo il lavoro fu interrotto da una pioggia imprevista e andammo a

ripararci nella vecchia izba. Vedendo come mi era scomodo prendere appunti

al buio, Karp Osipovic fu generoso di ‘luce festiva‘: accese una delle candele

della sua riserva, rifornita il giorno prima da Erofej. Di fronte a tale irragiamento

Agaf’ja non rinunciò a sfoggiare la sua capacità di leggere. Dopo avere chiesto

rispettosamente: ‘Posso papà?’, prese da uno scaffale nell’angolo alcuni libri

liturgici affumicati, con la rilegatura di tavole di legno e fibbie. Agaf’ja ci mostrò

anche le icone. Sopra però erano ricoperte da uno strato così spesso, pluridecennale,

di fuliggine che non si poteva veder assolutamente nulla – non erano che delle

tavole nere.

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Quella sera parlammo di Dio, della fede, del perché e del percome i Lykov fossero

finiti dov’erano. All’inizio della conversazione Karp Osipovic inflisse al suo

interlocutore moscovita un esame discreto ma attento.

Cosa sapevo della creazione del mondo?

Quando era avvenuta?

Cosa sapevo del diluvio universale?

Non appena toccammo avvenimenti reali il tranquillo carattere accademico della

conversazione venne meno.

Karp Osipovic considerava suoi nemici inconciliabili, personali e per la pelle, lo

zar Aleksej Michajlovic, suo figlio Pietro, il patriarca Nikon e la sua ‘diabolica presa

di sale – il segno di croce a tre dita’. Ne parlava come se dal tempo che questi uomini

avevano vissuto e governato non fossero passati trecento anni, ma tuttalpiù una

cinquantina.

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Karp Osipovic aveva parole particolarmente aspre per Pietro I. Questo zar, un

‘Anticristo in veste umana’, veniva considerato alla stessa stregua di un certo

mercante che all’inizio del secolo aveva imbrogliato la comunità vecchio-credente

di ventisei pud di sale….

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La vicenda dei Lykov affonda le sue radici in un dramma popolare antico tre secoli

il cui nome è raskol, ovverossia scisma. Al solo udire questa parola molti ricorderanno

immediatamente il quadro pittoresco della galleria Tre’jakov, La boiarina Morozova.

In questa immagine Surikov ha esso a fuoco le passioni che facevano ribollire la

Russia a metà Seicento. Questo tuttavia non è l’unico personaggio notevole del

raskol. Questo grande dramma ha avuto uno scenario variopinto e molteplice.

Lo zar era stato costretto ad ascoltare le critiche e le esortazioni degli ‘amici di

Dio’ e dei ‘folli in Cristo’; i boiari si erano alleati ai mendicanti; gli ecclesiastici

di alto rango esaurivano la loro pazienza in interminabili dispute e finivano a

tirarsi l’un l’altro per la barba; strelizzi, contadini e artigiani erano in agitazione.

Ciascuna delle parti contrapposte nello scisma denunciava l’altra per eresia,

scagliava l’anatema e scomunicava dalla ‘vera fede’. I Vecchi Credenti più

intransigenti vennero gettati a marcire in sotterranei profondi, fu loro

tagliata la lingua, li bruciarono vivi sul rogo. L’ombra fredda dello scisma

arrivò a toccare perfino la famiglia dello zar. Sua moglie Marija Il’inicna,

e poi anche sua sorella Irina Michajlovna intercedettero più di una volta

in favore dei capi scismatici caduti in disgrazia.

Perché tante passioni?

Esteriormente per delle sciocchezze.

Nell’intento di rafforzare la fede ortodossa e lo Stato, lo zar e il patriarca

Nikon avevano concepito e attuato una riforma della Chiesa basata sulla

correzione dei libri liturgici. Tradotti dal greco al tempo del battesimo della

Russia pagana da parte del principe di Kiev, Vladimir, i libri liturgici erano

passati attraverso le mani di numerosi copisti e ne erano stati snaturati.

Se all’inizio il traduttore faceva un errore, il copista lo travisava, una

parola straniera poteva venire travisata anche quella: nel corso di sei secoli

e mezzo si erano accumulate inaccuratezze di ogni genere, innumerevoli

incongruenze.

Si decise di volgersi alle fonti primarie, e correggere tutto.

(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga)

Prosegue in:

conversazione-al-lume-di-candela-eremiti-nella-taiga-5.html

museo consigliato

www.tretyakovgallery.ru

Tre rime tre (in):

dicono-di-noi.html

dedicato-ad-una-donna.html

la-favola-della-repubblica.html

alcuni libri

giulianolazzari.myblog.it

pietroautier.myblog.it

lazzari.myblog.it

un sito

www.giulianolazzari.com

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IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

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Tutto quello che si vede nel mondo visibile,

è come un riflesso del sole di questo mondo…

Quando queste parole immaginose sono intese dall’orecchio

dei sensi

a tutta prima designano oggetti sensibili.

Infinito è il mondo spirituale:

come possono coglierlo parole definite?

Come possono i misteri contemplati nella visione estatica

venire interpretati da parole?

Quando i sufi trattano di quei misteri,

E quando la ragione ha volto lo sguardo verso il mondo,

ha trasferito certe parole che di là venivano.

L’uomo saggio si pone a considerare l’analogia,

quando volge lo spirito ai misteri e alle parole.

Benché non sia dato raggiungere analogia perfetta,

l’uomo, nondimeno, continua senza posa a cercarla.

In questo campo nessuno può giudicarti,

li traducono in immagini,

poiché gli oggetti dei sensi sono come ombre di quaggiù,

e questo mondo è come un fanciullo appena nato, e come la

nutrice quello al di là:

io credo che in principio tali parole furono assegnate,

nel loro impiego originale, a quei misteri.

E solo dopo venne dato un senso agli oggetti dall’uso della

gente:

che sa in effetti il volgo intorno a quei misteri?

E quando la ragione a volto lo sguardo verso il mondo,

ha trasferito certe parole che di là venivano.

L’uomo saggio si pone a considerare l’analogia,

quando volge lo spirito ai misteri e alle parole.

Benché non sia dato raggiungere analogia perfetta,

l’uomo, nondimeno, continua senza posa a cercarla.

In questo campo nessuno può giudicarti,

perchè non v’è un capo in questa setta salvo la Verità.

Però, per quanto tempo ti manterrai te stesso, poni attenzione,

poni attenzione!

E stattene alle espressioni usate nella Legge.

La licenza dei mistici è di tre ‘stati’:

l’annichilimento, l’inebriamento, e il fervere dell’amore.

E tutti quelli che provano simili stati,

conoscono l’impiego di quelle parole e il loro senso.

Ma se di tali stati non hai fatto la prova,

non essere come l’infedele ignorante: non ripeterli macchinalmente.

Tali stati mistici non sono vane illusioni,

ma non tutti giungono ai misteri della Via.

O amico, dall’uomo sincero non viene l’inutile cianciare,

la rivelazione e la fede sono richieste per conoscere questi stati….

…Qual è quel mare del quale la parola è riva?

Qual è la perla che sta nel suo profondo?

L’essere è l’oceano, la parola è la riva,

le conchiglie sono le lettere, le perle la conoscenza del cuore.

E in ogni onda essa proietta mille perle regali:

di tradizioni, di parole sante, di testi.

A ogni istante ne sorgono migliaia d’onde,

ma la sua acqua non diminuisce d’una sola goccia.

La conoscenza nasce in questo mare;

ciò che racchiude le sue perle, sono le lettere e la voce.

Giacché un’allegoria presenta quei misteri,

conviene far ricorso a un’immagine.

Nel mese di Nisan ho inteso dire,

alla superficie del mare di Oman risalgono le ostriche perlifere;

esse salgono dal profondo dei flutti,

e si posano sulla superficie, la bocca aperta.

La bruma s’alza da questo mare,

e ricade in pioggia al comando di Dio.

Là dove s’apre ogni conchiglia, penetra qualche goccia,

e ogni bocca è sigillata come da cento legami.

Poi, con un cuore ricolmo, ogni conchiglia discende nell’abisso,

e ogni goccia di pioggia si fa perla.

Il tuffatore si getta nella profondità dell’oceano,

e ne riporta perle scintillanti.

La riva è il tuo corpo, quello dell’essere è il mare,

la bruma è la grazia, e la pioggia è la conoscenza dei nomi.

Chi si tuffa in questo mare è la ragione umana,

che nelle sue pieghe avvolge cento perle.

Il cuore è come una brocca per la conoscenza,

la voce e le lettere sono le conchiglie della conoscenza del cuore.

L’anima si slancia come un lampo repentino,

all’orecchio attento riporta quelle lettere.

Spezza dunque la conchiglia, coglie la perla regale,

ne getta lontano il guscio, ne asporta la dolce mandorla.

Glossari, etimologia, morfologia:

altro non sono che viluppi di lettere.

colui che consacra la sua vita a queste cose,

sperpera in vanità una vita preziosa.

Della noce, ha ottenuto solo il secco guscio.

Non si trova il nocciolo, senza rompere il guscio.

Ma senza guscio non matura il nocciolo:

solo dalla conoscenza essoterica nasce la dolce conoscenza della fede.

O anima del mio fratello, ascolta il mio consiglio!

Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, cerca questa conoscenza

della fede…

Corri a purificare le tavole del tuo cuore

perché un angelo venga a dimorare con te.

Acquista da lui quella conoscenza che è il tuo retaggio,

comincia ad arare il tuo campo per la messe dell’aldilà.

Leggi i libri di Dio: quello della tua anima e quello

dei cieli.

(Mahmud Shabestari)

 

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