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Essa descrive un sistema globale molto simile a quello prospettato due secoli prima
da James Hutton, ma con messe a punto e ampliamenti tali da spiegare le contraddizioni
che la vecchia teoria non era stata in grado di chiarire. Secondo la concezione della tettonica
a zolle, la crosta terrestre si era spezzata in varie zolle; le principali sono la pacifica,
l’antartica, l’americana e l’africana, l’eurasiatica e l’australiana. Alcune di queste portano i
continenti, e tutte si muovono. I loro margini si estendono sulla superficie del pianeta
secondo grandi linee curve frastagliate come le spaccature nel guscio di un uovo
congelato. Il loro spostamento è variabile, così che in alcune aree le zolle si comprimono
una contro l’altra, in altre si allontanano e in altre ancora si muovono insieme.
Quando esse collidono, di solito una zolla si immerge sotto l’altra fin negli strati profondi
e fusi della terra in un’area detta zona di subduzione.
Una carta delle zone di subduzione postulate dalla teoria a zolle, paragonata con una mappa
dei vulcani di tipo esplosivo, mostra che esse coincidono. Apparentemente la parte
di crosta vischiosa, spessa 100-150 km, che si immerge in profondità, fonde mentre
penetra in parti sempre più calde del mantello superiore. Il magma prodotto nel processo
trova la sua via di uscita in superficie e forma delle cinture lungo le zone di subduzione.
La tettonica a zolle offre anche un argomento valido per spiegare l’anomalia dei vulcani
hawaiiani, che eruttano con un andamento tranquillo e si trovano lontani da
qualsiasi zona di subduzione o, di conseguenza, da qualsiasi parte marginale di una
zolla. I vulcanologi presto avanzarono l’ipotesi dell’esistenza di ‘punti caldi’ simili a
torce, di materiale fuso che si intravede verso l’alto e proviene da una zona fissa sotto
la zolla pacifica; mentre la zolla si muoveva verso nord-ovest attraverso il punto caldo,
i vulcani che formavano le isole hawaiiane emergevano uno dopo l’altro secondo una
direttrice nord-ovest sud-ovest, con i vulcani più recenti ancora attivi situati nelle
isole a sud-est.
Se però, come presuppone la tettonica a zolle, molte zone crostali sprofondavano e si
distruggevano, dove si riformavano? La risposta alla domanda era, da una parte, un
punto di vitale importanza per confermare la validità della teoria della tettonica a
zolle. Essa fu inoltre una delle più stupefacenti rivelazioni della natura del vulcanesimo
in tutta la storia della scienza.
I vulcani di tipo esplosivo sono da sempre nemici dell’uomo. Fin da quando si hanno
testimonianze storiche essi hanno oscurato i cieli, sepolto città e alimentato la creazione
di miti. L’uomo, d’altra parte, ha estratto dai vulcani le loro ricchezze minerarie e ha
arditamente fatto pascolare il bestiame sui loro pendii insicuri. Nel 1950 nel disegnare la
mappa dei fondali oceanici di tutto il mondo, gli scienziati si resero conto che queste
grandi montagne esplosive erano solo la parte visibile dell’attività vulcanica terrestre.
Nelle profondità marine gli oceanografi scoprirono infatti un grandioso sistema, che si
estendeva per 65.000 km, di dorsali medio-oceaniche, cioè enormi catene montuose divise
nel senso della lunghezza da una fossa tettonica centrale, che delimitava due zolle in
allontamento fra loro. Lo strano comportamento dei vulcani dell’Islanda diveniva così
comprensibile quando apparve chiaro che questo era uno dei rari luoghi sulla terra dove
una dorsale medio-oceanica poteva essere osservata in superficie. Il magma basaltico
sgorgava da queste lunghe fessure terrestri, ma il processo eruttivo era per la maggior
parte tranquillo e regolare, come se del cemento fosse iniettato in uno stampo. I geologi
si convinsero presto che questo magma basaltico grigio e uniforme era davvero una
specie di cemento universale, che risaliva in superficie lungo le zone di sprofondamento,
per riempire ciò che altrimenti sarebbe stata una spaccatura tra due zolle tettoniche in
allontanamento. Date le proprietà contrastanti del fuoco e dell’acqua, sembrerebbe
probabile che, quando questi vulcani a fessura si aprono in profondità sotto il mare,
ne derivino violente perturbazioni. Ma questo non è avvenuto.
In nessun luogo, l’aspetto magnifico e armonico del pianeta terra è più evidente che
nella zona di incontro tra il greggio e incadescente magma e la trasparente acqua marina,
lungo le fessure dei rifts medio-oceanici. Mentre la lava incandescente fluisce dalle
fessure, la pressione del mare sovrastante è così alta che i gas volatili contenuti nel
magma, che in altri casi potrebbe causare esplosioni e un parossismo di vapore e di
rocce, sono tenuti in soluzione. Il magma comincia a solidificare a contatto con l’acqua e
si rompe in milioni di blocchi a forma per lo più ellissoidale: è la lava a cuscini, che
si accumula lungo le fratture.
Queste sono le rocce che pavimentano i fondali oceanici.
Esse migrano lentamente sulla crosta terrestre, gradualmente vengono coperte con
sedimenti, finché, milioni di anni dopo, saranno spinte di nuovo giù, nella fornace
interna della terra, dal processo di subduzione. Nel frattempo, altre nuove rocce da
pavimentazione verranno prodotte lungo i rifts in un processo incessante, che si
può definire come l’origine stessa della superficie della terra.