Da http://giulianolazzari.myblog.it
Nel Regno Unito, ad esempio, dal 1950 la disgregazione familiare è aumentata di
circa il 400%. Negli ultimi 20 anni dell’ultima parte del secolo scorso, la percentuale
di americani che definiva i propri matrimoni come ‘molto felici’ è calata drasticamente
e negli ultimi 50 anni, la fiducia e il senso di comunità tra la gente sono calati enormemente.
Alla metà del ventesimo secolo, oltre il 50% di tutti gli americani credeva che le persone
fossero ‘morali e oneste’. Nel 2000, la proporzione era calata a circa poco più di un
quarto e, nello stesso periodo, anche la partecipazione alle attività comunitarie e
sociali diminuì nettamente.
In altre parole, sembra esserci una correlazione tra la crescita dei consumi e l’erosione
delle cose che rendono felici le persone, in particolare le relazioni sociali. E’ evidente che
tale correlazione non significa necessariamente che ci sia un rapporto casuale tra i due
termini. Di fatto, come si escriverà più avanti, ci sono però ragioni più che solide per
considerare seriamente l’idea che le strutture e istituzioni necessarie a mantenere la
crescita erodano le relazioni sociali o, come sostiene l’economista Richard Layard, che
la crescita dei consumi abbia ‘portato un certo aumento della felicità, anche in paesi
ricchi, ma tale felicità aggiunta è stata annullata da una maggiore tristezza derivante da
relazioni sociali meno armoniose.
Un tragico risultato di questa inafferabile corsa alla felecità è che, sia ora sia per il
futuro, le società industriali stanno escludendo le possibilità che altre persone possano
condurre una vita soddisfacente, e non sono nemmeno in grado di offrir loro ricompense
nell’immediato.
Il paradosso del benessere rende la domanda inevitabile: perché si continua a consumare?
Perché non si guadagna meno, si spende meno in modo tale da avere più tempo per la
famiglia e gli amici?
In questo modo, non si potrebbe vivire meglio, e più equamente, riducendo l’impatto
dell’umanità sull’ambiente?
Questa idea ha dato la motivazione a numerose iniziative che mirano a uno stile di
vita più semplice.
‘La semplicità volontaria’ è per certi aspetti una vera filosofia di vita.
Si ispira in gran parte agli insegnamenti del Mahatma Gandhi, che incoraggiava le
persone a ‘vivere semplicemente, cosicché gli altri possano semplicemente vivere’.
Nel 1936, uno dei discepoli di Ghandi descrisse la semplicità volontaria come ‘l’evitare
l’accozzaglia esteriore’ e la ‘intenzionale organizzazione della vita per uno scopo’.
(Tim Jackson, WorldWatch Institute)