LA CATASTROFE 2

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Melville, da artista quale è, si è addentrato ulteriormente nell’analisi degli esiti

cui l’umanità inevitabilmente giunge, indicando con eccezionale profondità filosofica

quali siano, e dove vadano ricercati, gli elementi necessari a una riorganizzazione

generale della società.

Per farlo, ha raggiunto livelli prodigiosi di sottigliezza nella descrizione dell’equipaggio

e di audacia nella creazione dei ramponieri.

Tutto ciò rimane tuttavia subordinato al tema principale, di come la società del libero

individualismo possa dare origine al totalitarismo, rivelandosi incapace di difendersi

da quest’ultimo.

Il tema di Melville è quindi il totalitarismo, la sua ascesa e la sua caduta, la sua forza

e i suoi punti deboli. Molto prima che Moby Dick distrugga definitivamente Achab, il

capitano lascia già trapelare le fatali debolezze della rotta che ha intrapreso.

I primi segni di cedimento si vedono nel suo rapporto con Fedallah e con Pip.

Ben pochi dittatori lasciano che il loro potere, sebbene consolidato, dipenda interamente

da un esercito e da una polizia regolari, da normali forme di protezione del potere.

Il più delle volte istituiscono una forza speciale che sia fedele soltanto a loro,

formata da uomini totalmente estranei alla popolazione civile, per i quali vita,

sostentamento e ideali dipendono in tutto e per tutto dal dittatore stesso.

Achab dispone di una forza simile: ha nascosto a bordo una ciurma di indigeni

della tribù delle isole Filippine, un Parsi che adora il fuoco, un essere orribile al

quale è rimasto un solo dente e che porta i capelli bianchi avvolti attorno alla

testa come un turbante. E’ uno di quegli individui che si possono ancora incontrare

nell’estremo Oriente, apparentemente sopravvisuti all’epoca lontana in cui 

l’uomo si chiedeva ancora il perché del sole e della luna.

Questo mostro del male, Fedallah, pone in modo molto chiaro la questione del

rapporto tra il lettore e la creazione dello scrittore. Nessuno riesce a capire cosa sia 

di preciso Fedallah. Lo stesso Melville, se avesse tentato di analizzarlo e di spiegarlo,

molto probabilmente avrebbe fatto confusione e abbandonato l’impresa. 

La forza dell’autore non sta nell’analisi ma nella creazione. Eppure Fedallah è 

straordinariamente intenso, perfattamente logico e coerente. E’ un personaggio

vivo: proveremo dunque a spiegare quale significato riveste per noi.

La realtà del totalitarismo è estranea alla maggioranza degli uomini moderni, al

loro ambiente di lavoro, alla dimensione sociale in cui viviamo, al modo in cui 

concepiscono la loro individualità e il bisogno di esprimersi liberamente. Quindi

il potere totalitario deve trovare, forgiare e educare una specie particolare di esseri

umani che siano psicologicamente primitivi, aborigeni, con la terribile aggravante,

però, che questi individui hanno a disposizione le armi e la scienza moderne.

Non ci può essere un’altra spiegazione alle aberrazioni disumane che vengono 

perpetrate sistematicamente giorno dopo giorno, per fare un esempio, nei campi 

di concentramento voluti dai totalitarismi. 

E’ letteralmente un ritorno alle barbarie. 

A meno che uno non si renda conto che gli esseri umani sono creature sociali,

talmente civilizzate che soltanto la più atroce delle barbarie può reprimerli, non resta

altro che la teoria secondo cui il male è insito nella natura umana; questo atteggiamento,

però porta alla sfiducia e allo sconforto che, al giorno d’oggi, sono sentimenti

imperanti.

Totalitarismo e barbarie, sono inscindibili, due facce della stessa medaglia: ecco perché

Melville fa sì che Fedallah e Achab siano inseperabili.

( Dedicato al ‘cinese’ del campo ‘uno’)

(C.L.R. James, Marinai, rinnegati e reietti)

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LA CATASTROFE

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La scena ambientata all’impianto di ‘raffinazione’ segna il punto di svolta.

Seguono subito dopo le operazioni di stivaggio e di pulizia, e di lì ha inizio

il rapido declino che porterà alla catastrofe finale. Da questo momento in poi,

vedremo i personaggi e i gruppi di cui siamo venuti a conoscenza rivelare, strato

dopo strato, quanto di più profondo si cela nella loro interiorità.

Il primo è Achab.

Ormai dedica tutto il tempo a prepararsi; comunque, se è vero che l’ascesa del

totalitarismo segue una sua logica, altrettanto implacabile è la logica del suo crollo.

Achab è fin dall’inizio un maestro nella scienza della ‘caccia’ alla balena, e tale resta

fino alla fine; tuttavia restringe il concetto stesso di scienza fino a farlo coincidere

semplicemente con ciò che serve al suo scopo. Ogni altra forma di scienza, Achab

la distruggerà.

Un giorno dopo aver calcolato come al solito le coordinate osservando il sole e il

quadrante, prende lo strumento in mano e, in preda a una rabbia improvvisa, lo

scaglia a terra e lo calpesta, gridando:’ Scienza! Maledetto, o giocattolo vano!’.

La spiegazione di questo gesto indica che questa è una delle analisi più profonde

che Melville abbia mai fatto circa la natura del totalitarismo.

Il quadrante, dice Achab, è in grado di dire dov’è il sole. Ma non è in grado di dire

all’uomo quello che vuole sapere, e cioè dove si troverà domani. Lo strumento invita

ad alzare gli occhi verso il sole enorme e maestoso. Ma per l’uomo tale gesto è rovinoso,

poiché gli è dato soltanto di vivere tenendo gli occhi al livello dell’orizzonte terreno.

‘Così ti calpesto, vile oggetto, che nella tua debolezza miri all’alto: così t’infrango e ti

distruggo!’.

Qui si spiega come il totalitarismo imponga alle masse dei suoi seguaci una spietata

limitazione delle ispirazioni sociali. Occorre assicurarsi che costoro mantengano lo

sguardo fisso alla linea dell’orizzonte fino al raggiungimento dello scopo. La sera stessa

si scatena la tempesta, gli alberi della nave si incendiano e Achab sfida il fuoco

dell’industria: così, da un giorno all’altro, l’Industria e la Scienza, divinità gemelle

del diaciannovesimo secolo, vengono detronizzate.

Per portare avanti la sua impresa, Achab sente il forte bisogno di farla finita una volta

per tutte con gli uomini che pensano. Allo stesso modo, all’inizio della seconda Guerra

Mondiale, Hitler prese il controllo della situazione bellica per conto della Germania,

ignorando sistematicamente le opinioni di diplomatici e dello Stato Maggiore Generale

tedesco, e commettendo così un errore dopo l’altro.

Definiva questo soggettivismo estremo il suo ‘intuito’.

A questo punto scatta nel lettore, se non è già scattata, una domanda: perché gli uomini

non si ribellarono? E’ una questione che Melville, che ne è al corrente fin dall’inizio,

affronta come al solito in modo sistematico. Achab, lo ricordiamo, sa che i suoi uomini

hanno per legge il diritto di ribellarsi. Melville riconosce le responsabilità principali ai

tre ufficiali.

Achab, come tutti i dittatori, conosce alla perfezione i suoi ufficiali. Verso la fine del 

viaggio sa di non potersi fidare di nessuno. Si fa issare sull’albero maestro perché teme

che i suoi marinai, se avvistassero Moby Dick, non lo avvertirebbero. Ha bisogno, 

però, che la corda che lo tiene ancorato alla pertica sia salda nelle mani di qualcuno di

cui si può fidare. Basta che un marinaio se la lasci scivolare di mano e per Achab vorrebbe

dire schiantarsi al suolo, ponendo fine al folle viaggio che ormai tutti temono. 

(C.L.R. James, Marinai, rinnegati e reietti)

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IL BOSCO 2

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– Ritroverai i nostri compagni caduti. Essi hanno ricomciato la vita, questa volta

definitivamente.

Sono tornati piantine a fior di terra, hanno di nuovo imparato a fiorire e sono

saliti lentamente verso il cielo.

Molti di loro devono esser già cresciuti bene.

Salutami il vecchio Teobio, se lo rivedi, digli che un abete come lui non si è più

visto, e sì che sono passati più di 200 anni. Questo gli potrà far piacere.

– Sì, è un po’ dura una partenza così. Ci si era affezionati l’un l’altro e tutto questo

sembra strano. Ma un bel giorno finiremo per ritrovarci.

I nostr rami si toccheranno ancora, e riprenderemo i nostri discorsi e gli uccelli ci

staranno a sentire. Ce ne sono lassù di grandi e bellissimi, uccelli a molti colori,

come da queste parti non esistono.

– Ti confesso che avevo preparato un gran discorso, ma è meglio che parli così alla

buona. Fra qualche giorno, forse domani stesso, qualcun altro di noi verrà a raggiungerti;

può darsi che siano molti e che in mezzo ci sia pure io.

– Tu troverai il tuo posto pronto, ti rifarai con la pazienza un tronco, assai più bello

di questo. Gli abeti di quella foresta raggiungono anche i 300 metri e passano da

parte a parte le nubi.

In fondo ti ci troverai bene: chissà, fra due tre mesi, ho paura, avrai già dimenticato anche

i fratelli del Bosco Vecchio, non ti ricorderai più nemmeno dei nostri tempi felici.

Il Bernardi tacque. L’altro gli strinse la mano, dicendo.

– Grazie, adesso va’ pure con gli altri, perché mi pare che si metta al brutto. 

Non è il caso di fare cerimonie.

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)

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IL PENSIERO DI UN UOMO 2

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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La validità dell’intelligenza non consiste solo nel suo perfetto funzionamento, ma

anche e soprattutto nella sua applicazione all’oggetto necessario.

L’intelligenza può funzionare perfettamente anche su un oggetto diverso da quello

richiesto dell’atto del pensiero. Ecco perché abbiamo tanti uomini intelligenti tra noi:

perché entriamo in una nuova scolastica, nell’accezione peggiorativa del termine.

Pensiamo in modo perfetto, pensiamo in modo magnifico, ma non a proposito degli

oggetti ‘buoni’, di quelli richiesti. Vi è così un’infinità di ‘oggetti’ che sfuggono a un

moderno (per ragioni che non dobbiamo indagare qui, sebbene la loro storia sia

affascinante ed edificante); ad esempio il simbolo, oggigiorno divenuto incomprensi

bile.

I pensatori contemporanei più abili sono incapaci di comprendere direttamente un 

simbolismo organico, quale quello di una cultura straniera (asiatica o amerinda che

sia) o di un ermetismo europeo anteriore all’illuminismo. Hanno bisogno di una 

chiave, di uno strumento che dischiuda automaticamente quel sistema simbolico.

Per di più essi sono incapaci di pensare per simboli, perché hanno una paura

superstiziosa della superstizione, e questo li paralizza. 

Ora, il simbolo è secondo me un oggetto essenziale per l’intelligenza; credo che i

giudizi simbolici, come peraltro le istituzioni simboliche, non possono mancare in

un’intelligenza che pretende d’essere valida e completa. Dato che il simbolo è 

indispensabile a una visione libera e personale dell’esistenza, questa lacuna nel

pensiero dei moderni mi riempe di sospetto.

Ma non è tutto.

Prendete la questione ontologica o antropologica e vedrete come abbia perduto il 

suo senso nella mente dei contemporanei, persino in quella dei professori di filosofia.

Comprendere il senso dell’esistenza o il suo destino è ancora più raro.

Tutto questo fa si che ci si chieda se l’intelligenza non abbia funzionato per troppo 

tempo a vuoto, applicandosi a oggetti accessori o a un numero minore di oggetti di

quello che era assolutamente indispensabile. 

La maggioranza delle persone che ho incontrato si guardavano dall’accogliere tutte 

le domande che si ponevano loro. La superstizione consiste nell’ignorare certe questioni

fondamentali, o nel risolverle automaticamente, con una semplice formula che, a un’

analisi più profonda si dimostra priva di senso.

Trovare queste mancanze di senso nella vita di tutti i giorni dei moderni costituisce un

esercizio forte e stimolante. Ecco perché dicevo all’inizio che si trovano nella loro stessa

supposta luce, nei loro gesti e nella loro intellezione quotidiana le zone meno illuminate.

Si è parlato di meccanizzazione, e questa parola ha circolato con successo da dopo la

guerra. Tuttavia non comprendo che cosa abbiano a che fare le macchine con gli uomini.

Qui si tratta di una rinuncia alla propria umanità che conduce al bruto o al dèmone,

mai alla macchina.

E’ assurdo credere che una meccanizzazione completa trasformerà l’uomo in macchina. 

No; lo trasformerà in bestia.

La macchina ha una…diciamo così, ‘psicologia’ semplicissima, è docile, è trasparente nei

suoi desideri e nelle sue possibilità, è ottusamente ripetitiva e ossessiva, ed è, soprattutto,

l’immagine di un ordine interiore e di un senso di gerarchia molto impressionante.

Noi non dobbiamo avere paura delle macchine, né guardarci dal loro commercio.

Adesso che ‘le umanità’ sono così poco frequentate, lo spettacolo delle macchine è una

straordinaria propaganda per l’ordine, la gerarchia, lo stile. 

Anche la tecnica ha un suo classicismo che possiamo potenziare e promuovere.

Il pericolo viene dalla bestia o dal dèmone, dalla libertà male intesa, dal libertinaggio,

e questo è dovuto non al ‘macchinismo’, bensì alla mancanza di senso di un numero 

sbalorditivo di atti essenziali nella vita di tutti i moderni.

Vi sono attorno a noi persone che comprendono moltissime cose, ma che non si sono

mai chieste perché vivono, perché accettano i criteri etici di tutta quanta la società,

perché evitano la sincerità, perché sopportano giorno dopo giorno un’esistenza che

potrebbe essere diversa. E tuttavia, le domande di questo genere non appartengono alla

classe di indovinelli denominati ‘problematiche’, e che possono essere ignorati con poco

danno; esse dovrebbero scaturire dalla funzione stessa della conoscenza, dovrebbero

fare tremendamente male ora dopo ora, sin quando restano irrisolte.

(Mircea Eliade, Oceanografia) 

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IL PENSIERO DI UN UOMO

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Non ho affatto l’impressione che le zone meno illuminate di un’anima contemporanea

siano le cosiddette attività subconsce e inconsce.

Credo, al contrario, che le oscurità più impermeabili e più pericolose si trovino nelle

intenzioni e nei gesti ritenuti da tutti come chiari, evidenti, semplici ed eternamente

validi.

Ponete attorno a voi domande sui fatti più immediati e decisivi e constaterete fino a

che punto giacciono confusi, inerti o complicati nella sensibilità e nell’intelligenza

delle persone.

Un uomo potrà parlarvi a lungo della sua memoria dei suoi sogni, delle sue

superstizioni, dei suoi dubbi, delle sue nostalgie e dei suoi rimpianti, ma sarà incapace

di mettere insieme due frasi coerenti su una cosa ritenuta essenziale o scontata; ad

esempio perché fa una certa cosa, perchè parla, perché si reca tutte le mattine al

lavoro; o ancora da dove gli proviene la certezza che una cosa è buona e un’altra

cattiva, che una deve essere fatta e l’altra va evitata o nascosta, ecc.

Trovo molto più oscuri e complicati questi ‘semplici’ fatti che ciascuno di noi ripete

per tutta la vita senza interrogarsi sulla loro validità o la loro efficacia, persuasi

come siamo che debbano essere e restare così.

Le superstizioni non vanno cercate solo in ciò che ci sembra oscuro; gli atti

fondamentali della nostra vita psichica sono essi stessi di natura superstiziosa.

Vale a dire che partecipano di un automatismo in cui non tentiamo mai d’intervenire;

li componiamo per timore o per abitudine, crediamo alla loro realtà senza esaminarla;

non cerchiamo né di superarli né di modificarli; in una parola siamo vissuti dalla vita

invece di viverla; e la superstizione perfetta consiste nell’abdicare completamente a 

ogni autonomia, a ogni arbitrio, a ogni libertà.

Siamo degli automi quando diveniamo superstiziosi.

E da nessuna parte si riscontrano più superstizioni che nella coscienza di un moderno,

per istruito e addentro che sia alle scienze del secolo.

Ci inganniamo ritenendo superstiziosi i popoli ‘primitivi’ o le altre razze.

Le loro superstizioni sono solo dei fallimenti rispetto a un’intuizione precisa del mondo.

Sono comprensioni erronee o imperfette, frammenti di una visione globale, ma 

sono vive, rappresentano le cornici organiche di un’esperienza perpetua, possiedono

una struttura. 

I veri superstiziosi sono i moderni, i civilizzati, e non i ‘selvaggi’.

Perché nella loro coscienza agisce tutta una serie di automatismi riguardo ai quali 

nessuno si pone domande e che tutti sopportano sino alla morte.

Il defunto positivismo soprattutto è stato fertile quanto a sistemi di superstizioni che

l’élite e, dietro ad essa, il pubblico abbracciavano con una incoerenza e una sicumera 

stupefacenti.

Dopo tante generazioni impotenti, incapaci di riflettere sulla realtà e che pensavano

regolarmente in modo automatico, superstizioso, ho l’impressione che l’intelligenza

stessa sia stata alterata.

In un certo senso si può parlare del crepuscolo dell’intelligenza nella nostra civiltà.

(M. Eliade, Oceanografia)

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BREVE PARENTESI ANALITICA 2

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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LA CURA: Quando ho qualcuno in mio potere

il mondo gli diventa inutile.

Su lui cala buio eterno,

sole non si alza né tramonta.

Ha perfetti i sensi esterni

ma tenebre intime lo abitano;

e di lui i tesori non sa

come prendere possesso.

Fortuna e sfortuna divengono

fantasie per lui, lo rode

nell’abbondanza l’inedia

e, sia delizia sia tormento

qualunque cosa rimanda a domani,

sempre è in attesa del futuro

e mai gli riesce di concludere.

FAUST: Basta! Tu così non mi prendi.

Certe sciocchezze non voglio ascoltarle.

Fuori! Questa mediocre litania

potrebbe incantare anche l’uomo più saggio.

LA CURA: Ha da andare? Ha da venire?

Il potere di decidere gli è tolto.

A metà d’una via sgombra

vacilla, a passi incerti esita,

si perde sempre più lontano,

vede sempre più storta ogni cosa;

peso e noia a sé e agli altri

può respirare eppure soffoca,

non soffoca eppure non vive,

non disperato e non rassegnato.

Una infrenabile agitazione,

tra rinunce penose e ostili obblighi,

tra libertà e oppressione,

tra sonni inquieti e cibi mal graditi,

così lo vincola al suo posto

e all’inferno lo prepara.

FAUST: Sciagurati spettri, con la specie umana

voi agite così mille volte.

Anche i giorni qualsiasi li mutate

in un laido groviglio di tormenti intricati.

Dai dèmoni è arduo liberarsi, lo so, 

non si spezza il legame che lo spirito ha stretto;

ma il tuo potere, o Cura, insinuante e grande,

io non lo riconoscerò.

LA CURA: Provalo ora che da te rapida

maledicendoti mi separo.

Tutta la vita sono ciechi gli uomini:

e tu diventalo, Faust, alla fine!

(gli soffia sul viso)

FAUST (accecato): La notte sembra scendere su me sempre più fonda

ma brilla entro di me una luce chiara.

Quello che meditai mi affretto ad adempiere.

La voce di colui che comanda è la sola che conti.

Servi, su dai giacigli! Voi tutti!

Che in letizia si veda quello che ho osato imprendere.

Mano agli arnesi, in pugno vanghe e pale!

Il progetto dev’essere realizzato subito.

Ordini esatti, impegno veloce

avranno il compenso più splendido.

Basta, perchè sia compiuta l’impresa più grande,

per mille braccia una mente unica.

(Goethe, Faust)

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